Proprietà privata, non accessibile
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Foto: Lisa Tabai
Raggiunta piazza Matteotti, centro sia storico sia attuale di Castel Goffredo, sul lato nord della stessa si vede il Palazzo Gonzaga Acerbi, un parallelepipedo alto due piani racchiuso tra la Torre Civica e il Torrazzo, che con la sua mole nasconde alla vista l'annesso giardino, del quale dalla piazza si scorge solo una quercia alta circa 30 metri, mentre se ne possono apprezzare la rigogliosa vegetazione e i maestosi alberi percorrendo via Manzoni, confinante a ovest con la proprietà, su questo lato delimitata solo da un muro di cinta piuttosto basso. Giunti in fondo alla via sulla destra si vede ciò che resta dell'antico muro di cinta della fortezza che chiude la proprietà a nord e conserva parte del terrapieno, un rialzo gradonato costituente la parte terminale del giardino. Oltrepassati il portone d'accesso e l'atrio del palazzo ci si trova in una grande loggia dipinta che si apre su un'area, definita corte in un disegno di fine '500, antistante il giardino vero e proprio e separata da esso da una esedra con cancello in ferro battuto, databile alla seconda metà del XVIII secolo. Il giardino attuale, di gusto romantico, impiantato dalla famiglia Acerbi proprietaria del palazzo dal 1776, presenta vialetti con tracciato informale che delimitano grandi aiuole tappezzate con edera, pervinca, iris ed ermerocallis e alcune macchie di piante arbustive ed erbacee perenni; è inoltre punteggiato da grandi alberi (bagolari, tassi, tigli e abeti rossi) e ornato da alcune statue, come il Mercurio inquadrato dal cancello dell'esedra, sulla quale si arrampicano due bellissime rose portate dall'Egitto nell''800 da Giuseppe Acerbi, appassionato di botanica. Fu a partire dal 1499 che, per la committenza di Ludovico Gonzaga prima e di Luigi e Alfonso poi, si costruì, occupando parte del Castelvecchio, il palazzo con l'annesso bellissimo giardino di circa 2000 metri quadrati, che, come ricorda un manoscritto del '600, esibiva pergole di varie specie di uve sorrette da colonne di marmo, e una bellissima fontana sempre di marmo. Matteo Bandello ne diede una poetica descrizione, ricordando le varie specie di fiori odorosi ed erbe aromatiche e le siepi potate in forma di animali e d'uccelli. Questo splendido giardino nel 1756 era ormai ridotto a terreno «zerbido e incolto».
(tratto da L. Tabai, Il giardino di Palazzo Gonzaga Acerbi, in I giardini dei Gonzaga 2018, pp. 213-217).